Cornea e Cheratocono
Dott. Gaetano Gallo Afflitto
Il primo e più importante responsabile (80% circa) della capacità di messa a fuoco dell’occhio è la cornea, le cui qualità di nitidezza e regolarità di superficie risultano essere...
...requisiti essenziali per un processo visivo che metta perfettamente a fuoco le immagini sul piano retinico.
La cornea sana è strutturalmente più curva al centro e più piatta in periferia.
Quelle condizioni che implicano alterazioni di forma e spessore della cornea e conseguentemente una riduzione dell’acuità visiva proporzionale al grado di deformazione, vanno sotto il nome di ectasie corneali.
Tra queste la forma più comune è il CHERATOCONO.
Si tratta di una patologia principalmente del giovane in cui la cornea va incontro ad un processo di assottigliamento e deformazione dovuto alla perdita dei legami intermolecolari delle molecole di collagene costituenti il reticolo strutturale di base della cornea che diventa così più curva e asimmetrica nella parte centrale. È un processo degenerativo progressivo che presenta una velocità più marcata nel giovane rispetto all’anziano e che può continuare per tutta la vita esitando negli stadi più gravi in una opacizzazione dell’apice corneale e raramente in perforazione. Esame principe per la stadiazione e per valutare i progressi della patologia nel tempo è la TOPOGRAFIA CORNEALE.
Man mano che la deformazione progredisce nel tempo si instaura un astigmatismo irregolare che esita in una riduzione del visus progressiva e talora invalidante in quanto spesso non completamente correggibile con occhiali o lenti a contatto, corneali o sclerali.
Questi comunque costituiscono il primo approccio al problema, pur con la consapevolezza che si tratta di espedienti non risolutivi e che, in genere, non garantiscono una qualità della vista sufficiente a svolgere le attività quotidiane.
Di contro, il trattamento da riservare come ultimo tentativo e negli stadi più avanzati, è il trapianto di cornea, parziale o a tutto spessore, soluzione comunque che in nessun caso previene elevati astigmatismi postoperatori residui, né tanto meno garantisce un’acuità visiva postoperatoria massimale. Si caratterizza inoltre per lunghi tempi di ripresa postoperatoria, non scevro da rischi di rigetto e che è utile rimandare il più possibile.
Il tipo di trattamento che invece agisce sui reali fattori eziologici della malattia è il cross-linking corneale il cui obiettivo è quello di rafforzare i legami tra le fibre collagene che attraversano la cornea prevenendone lo sfiancamento. L’indicazione a effettuarlo si ha in quegli stadi della patologia in cui la cornea ha ancora un discreto spessore, l’ectasia non interessa la zona ottica, l’astigmatismo è ancora gestibile con occhiali e lenti a contatto, poiché in queste condizioni ha maggiori probabilità di successo.
Il cross-linking si esegue mediante l’instillazione di un collirio a base di sostanze fotosensibili (riboflavina/vitamina B2) che penetra negli strati della cornea e viene attivato per applicazione di una luce ultravioletta (UV-A), ciò induce un consolidamento dei legami tra le fibre collagene con un conseguente effetto di contenimento delle strutture corneali che si irrigidiscono, stabilizzando il processo di ectasia e rallentandone o addirittura arrestandone la progressione grazie ad un appiattimento parziale dell’apice nel tempo. Infatti il processo inizia immediatamente col trattamento ma prosegue anche per alcuni mesi dopo. Talora si riesce ad ottenere anche un vantaggio refrattivo di grado variabile da soggetto a soggetto e fino ai due anni successivi al trattamento è possibile che si manifestino variazioni tali da rendere necessario l’adeguamento del potere di occhiali o lenti an contatto anche più volte.
Il trattamento è ripetibile, effettuabile secondo diversi protocolli a discrezione del chirurgo, e l’efficacia a lungo termine dei risultati è ancora oggetto di studio. Quel che è certo è che non si tratta di una cura risolutiva ma di un trattamento mini invasivo proponibile ad una determinata categoria di pazienti con requisiti ben precisi in cui lo scopo è quello di rallentare, o nei casi migliori arrestare la progressione della malattia che comunque potrebbe progredire nel tempo. Essendo questo l’unico trattamento ad oggi in grado di contrastare la progressione del cheratocono, il non intervento determina la possibilità che, in un arco di tempo indeterminato, e comunque variabile da soggetto a soggetto, si possa ridurre l’acuità visiva a causa dell’evoluzione della patologia e che si renda quindi necessario il trapianto di cornea. Pur tuttavia sottoporsi al trattamento non conferisce alcuna garanzia di successo.